il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

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340803 commenti | 64492 titoli | 25589 Location | 12801 Volti

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Location Zone

  • Film: Mia moglie, mia figlia, due bebè (2016)
  • Luogo del film: L'hotel gestito da Antonio Novelli (Marcorè)
  • Luogo reale: Via Santa Maria di Costantinopoli, Napoli, Napoli
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  • Film: Diabolik - Chi sei? (2023)
  • Luogo del film: La casa di Elisa Coen (Martegiani), dove viene spiata da Diabolik e dalla polizia
  • Luogo reale: Via Pescherie Vecchie 1, Bologna, Bologna
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Stella Novari

    Stella Novari

  • Luca Eduardo Varone

    Luca Eduardo Varone

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Puppigallo
Simpatica black comedy con attori in parte (qualcuno gigioneggia ma nei limiti del sopportabile), un discreto ritmo di uccisioni, prima "giustificate" da una sorta di giudizio post cena e poi sempre più sbrigative; e soprattutto con un singolare risvolto (l'ultimo invitato; il suo vero pensiero) e una soluzione tanto giusta quanto drastica. È divertente ascoltare le domande e le risposte degli invitati, che non sanno di camminare su un patibolo che si stanno costruendo loro stessi. Una pellicola riuscita, senza troppe pretese se non quella di intrattenere.
Commento di: Cerveza
Produzione popolare dalla struttura episodica che racconta le peripezie di uno scalcagnato illusionista e del suo maldestro aiutante. Alla costante ricerca di cibo, trovano più frequentemente situazioni grottesche che pietanze. Perfettamente affiatati i fratelli De Filippo, un po’ De Rege e un po’ Stanlio e Ollio, carinissima la giovane Assia Noris, sempre pronta a spalancare gli occhioni ingenui. Convincente co-protagonista anche una bella gallinella bianca che, nonostante i numerosi strapazzi e il perenne stato di necessità che la circonda, riesce a sfuggire alla pentola.
Commento di: Mr.chicago
Durante il lockdown un gruppo di ragazzi aretini dà vita a questo progetto indipendente che racconta di una setta massonica, dedita al culto di un Dio Etrusco, che si trova in crisi grazie anche all'intraprendenza di tre giovani solerti e curiosi... Ovviamente trattasi di una produzione low budget e, soprassedendo sulle evidenti lacune attoriali, di regia, di fotografia eccetera, tutto sommato le otto puntate hanno il merito di incuriosire lo spettatore anche per l'impegno evidente di tutta la troupe e del cast di regalare un prodotto quantomeno accettabile.
La statue (1905) di Alice Guy con (n.d.)
Commento di: Pinhead80
Due clown sono alle prese con una statua semovente che si muove grazie a una manovella. Ne combineranno di tutti i colori arrivando perfino a sostituirsi ad essa. Cortometraggio abbastanza divertente che ha il suo punto di forza nella mimica dei suoi protagonisti e nelle simpatiche baruffe che scaturiscono ogniqualvolta la statua li colpisce. Ovviamente il numero è di tipo circense e dal vivo farebbe tutto un altro effetto. L'opera, vista così, perde molto del suo fascino e della sua carica comica, ma resta comunque meritevole almeno di una visione. Mediocre ma con un suo perché.
Commento di: Teddy
Dal taglio piatto e televisivo, con iperboli splatter totalmente inoffensive e senza alcun guizzo registico degno di nota. Feifer rumina idee da ogni dove senza riuscire a concretizzarne una nemmeno per sbaglio. Siamo veramente nei bassifondi del cinema horror anni 2000, stilisticamente a un passo dalla sciattezza e con un andamento narrativo che si infrange inesorabile nella noia. L’unica fortuna è che si dimentica facilmente.
Commento di: Pinhead80
Tratto da una storia vera, il film racconta l'esistenza difficoltosa di una ragazza madre che cerca in tutti i modi di raggiungere la propria indipendenza economica andando a lavorare in miniera. Un'eccezionale Charlize Theron è la protagonista di un'opera che si avvale di un cast di tutto rispetto e che può contare su di una sceneggiatura solida che sbatte in faccia allo spettatore le discriminazioni e la cattiveria che le donne troppo spesso debbono subire sul posto di lavoro. Unica pecca del film è la parte finale, in cui alcuni personaggi cambiano troppo repentinamente opinione.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Didascalia d’apertura coraggiosa: “Tutti i personaggi di questa storia sono realmente esistiti – Tutti i fatti descritti sono realmente accaduti”. Nessuna invenzione quindi, nessuna “licenza cinematografica”; rispetto pieno della cronaca del 1956 dal momento in cui (era la notte tra il 26 e il 27 maggio) Franco Percoco (Vicari) uccise a Bari i genitori e il fratello Giulio. Della strage nulla si vede perché si comincia da subito dopo: Franco è sotto la doccia, a pulirsi dal sangue. Ha sistemato in qualche modo i tre cadaveri nella stanza dei genitori,...Leggi tutto che ha poi chiuso a chiave per assicurarsi che nessuno metta il naso. Il naso soprattutto, visto l’odore nauseabondo che inevitabilmente ne uscirà. Franco pensa ingenuamente di risolvere il problema spruzzando molto profumo in casa, imbevendo batuffoli che fissa alle porte…

Per quanto riguarda l’assenza dei genitori spiega a chi glielo chiede che sono andati a Montecatini due settimane per le terme. La dichiarazione scricchiola fin dall’inizio però, visto che il giorno della trasferta, in cui Franco dice di averli accompagnati, pioveva come non mai… Ma tant’è. I giochi sono fatti e adesso il nostro protagonista può spassarsela come preferisce usando i soldi tenuti in casa da papà e mamma: banconote gigantesche come a quel tempo si usava, che già dal taglio davano l’idea del loro valore.

La ricostruzione storica, supportata da una definizione altissima dell’immagine, non delude: la Bari di metà Cinquanta, per quanto fin troppo scintillante (ogni auto brilla, la conservazione dei palazzi è impeccabile), riesce a calarci in una realtà lontana che i tempi molto lenti e la colonna sonora contribuiscono a trasferire in una dimensione quasi onirica. Un po’ quella che Franco vive: lo sguardo in apparenza assente, si trascina da un ristorante di lusso a un bordello mostrando una reattività quasi nulla.

La casa libera, finalmente, permette di invitarvi la bella fidanzata (Metcalf) per non fermarsi al solito bacio, anche se i pensieri vanno con insistenza a una prostituta incontrata un anno prima al bordello, che si sostituisce idealmente nei suoi pensieri alle donne con cui va a letto. La linea scelta è quella di una regia “liquida”, che accompagnata da una fotografia algida prosegue nel descriverci un Franco Percoco di rado totalmente in sé, che pare muoversi per inerzia, che risponde meccanicamente a chi gli chiede notizie dei suoi (come la portiera del suo stabile, interpretata da Gegia) e non si preoccupa troppo dei vicini (tra i quali si riconosce Michele Mirabella) che suonano al campanello chiedendo da dove venga l’insopportabile puzzo che sentono nei loro appartamenti.

Nulla a che vedere, quindi, con le moderne storie di serial killer: ogni delitto resta rigorosamente fuori campo, ciò che si analizza sono le conseguenze nel quotidiano dell’omicida, i giorni in cui ha potuto vivere senza preoccuparsi di alcuna limitazione finanziaria. Se si accetta il passo sonnacchioso, lento, accentuato dalla ricercata monoespressività del protagonista, si possono apprezzare i morbidi movimenti delle riprese, l’occhio puntato con gusto sulla Bari d’epoca, i costumi, le canzoni (dalla “Malafemmina” di Totò all’ “Arrivederci” di Marino Barreto jr.) e una certa capacità nel raccontare il dramma vissuto da chi ha ucciso senza forse nemmeno troppo rendersi conto degli effetti delle proprie azioni. Ergastolo, ovviamente, convertito poi in 23 anni grazie alla buona condotta.

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C'è una prima scena piuttosto ambigua: due ragazze nella notte vengono aggredite da una banda di delinquenti che ne prende di mira una sola e la riempie di calci e pugni, con l'altra ad assistere impotente. Non si sa chi siano, ma le ritroviamo un anno dopo in aeroporto. Avevano una relazione; ora non più, ma sono state invitate in un paradiso caraibico da una loro amica, Lizzie (Lyle), che lì deve celebrare il proprio matrimonio. Insieme a loro anche Cam (Setsuko) e Ruth (Shakespeare-Hart), a formare con la promessa sposa un quintetto di ragazze felici di stare al...Leggi tutto mondo e più precisamente in un luogo meraviglioso tra palme, sabbia e un mare cristallino.

Danze (al tempo di "Reach" degli S Club), alcol e una notte da sogno che anticipa una giornata in cui le nostre vogliono divertirsi ancora di più. La sexy Cam (un'orientale alta e sinuosa), la più vivace e intraprendente, ha affittato una barca e con quella le cinque partono verso il mare aperto per fermarsi in un'isoletta disabitata. Le due lesbiche, Meg (Quasem) e Kayla (Mitson), vengono appositamente lasciate sole sulla riva perché possano in qualche modo riconciliarsi mentre le altre tre ripartono con la barca fermandosi non troppo distante, dove vengono in seguito raggiunte dalle due, ripresentatesi mano nella mano.

Tutto va per il meglio fino a quando Ruth, mentre è in piedi in acqua a due passi dalla riva, sente qualcosa che la tocca. Non si capisce come, quasi non s'è accorta che uno squalo le ha divorato mezza gamba lasciandola in un lago di sangue. Il panico s'impossessa del gruppo, che naturalmente subito riparte incrociando sulla via del ritorno alcune rocce affioranti, scogli contro i quali l'imbarcazione cozza rovinosamente sfasciando la chiglia. Inutili i tentativi di riparare la falla e tutte in acqua, compresa Lizzie che manco sa nuotare. E qui comincia l'avventura, quella di sempre...

Il solito survivor movie con squali che si aggirano nei pressi e che appena sentono il sangue si fanno avanti. Insomma, tutto quello che ci si aspetta da film così, che in questo caso dosano molto la presenza degli squali senza svelare troppo le carte della consueta cgi d'ordinanza. Non quindi un vero e proprio shark-movie quanto piuttosto un OPEN WATER con qualche pinna, qualche attacco e un po' di sangue in più. Perché è inutile dire che siano soprattutto i poescecani a dare un senso al tutto, unici in grado di poter aggiungere tensione a un film che altrimenti procederebbe con gli immancabili dialoghi da quattro soldi tra naufraghi impauriti, il sole che alto splende minacciando secchezza della fauci e arsura, riprese a pelo d'acqua, temporali e sventure assortite che accompagnano le nostre cinque disgraziatissime. C'è anche un riferimento alla scena del prologo, ma niente che possa rivelarsi interessante.

Si passa il tempo così, fortunatamente confortati da una buona colonna sonora, riprese di una certa professionalità che nascondono la povertà del budget e che, con qualche ideuzza sparsa qua e là, danno l'impressione (ma solo l'impressione) di un film con una certa solidità. In realtà ogni sforzo di fantasia è bandito e gli agguati degli squali ridotti all'acqua che turbina e si fa rossa, pur se in un paio di occasioni i pescioni affamati metton fuori anche il muso (in un caso ottenendo di spaventare il giusto). Il finale non depone a favore dell'originalità dell'insieme e la recitazione complessiva è appena sufficiente, con qualche punta di irritante giocosità prima e di patetica drammatizzazione poi. Fotografia smagliante che dà giusto risalto all'ambientazione da autentico paradiso del mare e spazio per un paio di scene comunque commoventi, nel loro piccolo…

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Nella splendida cornice di Vallon-Pont-d'Arc (un arco di pietra sull’acqua), un cadavere viene trovato inginocchiato con la giugulare recisa da una pietra risalente a migliaia di anni fa e lì ancora conficcata. Siamo infatti nella zona delle celebri grotte di Chauvet, ricche di splendide pitture rupestri del paleolitico e possiamo stare certi che un'occhiata pure a quelle il film la darà. Perché l'attenzione dei gialli francesi di questi anni va spesso di pari passo con la riscoperta di zone importanti del territorio, riprese in modo da farne risaltare la...Leggi tutto magnificenza paesaggistica.

A indagare sull'omicidio un poliziotto locale di origine araba, Riad Lekcir (Gharbi), affiancato da una detective che viene da fuori, Manon (Varlet). Li lega un doppio delitto avvenuto in loco più di vent'anni prima, quando i genitori di Manon furono uccisi in casa (lei bambina presente, ma in un'altra stanza) da qualcuno successivamente identificato nel fratello di Riad, che per questo finì in carcere e in seguito si suicidò. Inevitabile che il rapporto tra i due sia teso, ma Manon precisa come da parte sua non sussista alcun problema nel lavorare con una persona che pure di certo non stima. Riad, sicuro che suo fratello non c'entri nulla con quell'antico fatto di sangue, non ha le prove per dimostrarlo. Il doppio delitto si integrerà nella storia, andando presto ad occuparne una parte anche maggiore rispetto a quello appena avvenuto. Si scoprirà che la vittima è uno degli scopritori della grotta di Chauvet e il primo ad essere interrogato sarà il suo miglior amico, che partecipò con lui all'importante spedizione.

Una trama fitta di elementi, articolata classicamente sul doppio binario temporale ma senza che i due troppo si confondano. Manon, bionda, magra, due begli occhi azzurri, gioca a fare la scontrosa ma si capisce che non è troppo irrigidita nelle sue convinzioni, Riad al contrario si mostra fin da subito più disponibile ad accettare una collaborazione che non può sulle prime vedere di buon occhio. Insieme i due faranno emergere un intreccio assai complesso che richiederà molta attenzione per essere compreso in tutte le sue sfumature. Perderne anche solo un brandello potrebbe comportare il non essere in grado di ricostruire tutto a dovere. Bisogna quindi mettersi in testa di seguire il film con un certo impegno.

I twist sono buoni, la storia interessante; è la messa in scena ad apparire invece fredda e troppo standardizzata nelle sue dinamiche, adagiata in cliché poco stimolanti. Un giallo insomma di chiara matrice televisiva che non riesce a eludere la sensazione di un compitino svolto senza entusiasmo, sfruttando meccanicamente una sceneggiatura che invece una regia migliore avrebbe potuto valorizzare. Un po' sono i personaggi secondari a deludere nelle loro caratterizzazioni (va meglio per la coppia protagonista), un po' alcuni passaggi sviluppati con eccessiva superficialità e faciloneria. Manca quel “colore” che la natura circostante mette in luce scintillando.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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